Se non ci si sente in contatto con il corpo, non si è radicati nella realtà.
Perché oggi il corpo ha assunto questa importanza?
Perché passiamo così tanto tempo a curarlo, colorarlo, depilarlo, gonfiarlo in certi punti e sgonfiarlo in altri, lisciarlo, tonificarlo? E' la moda che lo impone o c’è qualcosa di più?
Che cosa rappresenta realmente oggi il corpo?
Spesso si sente dire che il corpo magro è un corpo alla moda, poiché essa detta certi canoni e che ciò è anche una delle cause del proliferare dei disturbi alimentari.
Certamente l’idea di bello, di sano, di normale - o anche di buono - deriva da un gusto che è prodotto culturalmente e che varia costantemente a seconda delle epoche storiche; per esempio, se scorriamo le immagini di donne famose in diversi momenti del secolo scorso: da Marleen Dietrich a Marylin Monroe, per arrivare a icone più recenti, il modello di bellezza che loro hanno rappresentato era fortemente legato al ruolo femminile che il quel momento dominava socialmente e come le forme, traducano poi questo in “bellezza”.
Proprio per questo ci si riferisce al corpo come ad un “testo”, una superficie dove rimane scritto tutto ciò che noi siamo, vorremmo essere o apparire, dove mettiamo a disposizione i codici di come verremo “riconosciuti” dagli altri e allo stesso modo “decodifichiamo” gli altri: quando incontriamo qualcuno... la sua forma, i suoi abiti, i suoi segni, ci danno delle informazioni su di lui anche se non lo conosciamo e questa decodifica viene operata costantemente, spesso anche incosapevolmente.
Si pensi a quanto questo è evidente nelle popolazioni primitive, dove le marcature corporee (tatuaggi, perforazioni ai lobi o alle labbra, collari e quant’altro) sono sempre servite per segnare gruppi d'appartenenza, riti religiosi o semplicemente per abbellire.
Si pensi a quanto questo è evidente nelle popolazioni primitive, dove le marcature corporee (tatuaggi, perforazioni ai lobi o alle labbra, collari e quant’altro) sono sempre servite per segnare gruppi d'appartenenza, riti religiosi o semplicemente per abbellire.
Se questo è sempre stato vero in tutte le epoche storiche e in un tutte le società, mai come oggi assume un valore ancora più forte e significativo. Perché oggi utilizziamo così tanto il corpo per dire chi siamo, per comunicare il nostro disagio o per rappresentarci al mondo?
La risposta è molto semplice: perché non abbiamo più null’altro di certo che il nostro corpo. Il corpo rimane l’unico terreno certo, affidabile su cui posso incidere: se faccio una dieta il corpo si riduce, se vado in palestra si gonfia, se mi tatuo questo sarà per sempre.
Il corpo è anche il territorio in cui si rendono evidenti i disagi che questa incertezza genera: i disturbi del comportamento alimentare sono state le prime forme - le più note - di utilizzo del corpo per esprimere il proprio malessere.
L’anoressia è entrata nel linguaggio, è diventata una malattia sociale che significa “controllare” le emozioni, i sentimenti le implicazioni, oltre che il cibo. Si è trasferita nei rapporti tra le persone, nell’affettività nei consumi, nell’atteggiamento relazionale con il mondo. Non ci fidiamo e quindi ci chiudiamo, non rischiamo, cerchiamo solo disperatamente di difenderci da soli più che possiamo. Non solo, il corpo è uno dei modi che abbiamo per sentirci esistere: il dolore, sembra paradossale, ci fa sentire di “esserci”.
Il corpo viene usato per ricercarne i confini, i limiti e per riprendere il contatto con la sua fisicità, con la realtà. Si tratta di una ricerca continua, disperata, affamata di sostegni e di riferimenti, attraverso un corpo “senza rete”, di cui ognuno ha la libertà e la responsabilità di gestione.
L’anoressia è entrata nel linguaggio, è diventata una malattia sociale che significa “controllare” le emozioni, i sentimenti le implicazioni, oltre che il cibo. Si è trasferita nei rapporti tra le persone, nell’affettività nei consumi, nell’atteggiamento relazionale con il mondo. Non ci fidiamo e quindi ci chiudiamo, non rischiamo, cerchiamo solo disperatamente di difenderci da soli più che possiamo. Non solo, il corpo è uno dei modi che abbiamo per sentirci esistere: il dolore, sembra paradossale, ci fa sentire di “esserci”.
Il corpo viene usato per ricercarne i confini, i limiti e per riprendere il contatto con la sua fisicità, con la realtà. Si tratta di una ricerca continua, disperata, affamata di sostegni e di riferimenti, attraverso un corpo “senza rete”, di cui ognuno ha la libertà e la responsabilità di gestione.
Il corpo diventa allora la superficie ideale per disegnare la propria individualità, per esprimere le
proprie ossessioni o il proprio disagio, per scrivere in modo indelebile e visibile il proprio dolore.
Occorre ripartire dal corpo: dai suoi bisogni, dai suoi messaggi, dai suoi ritmi e cambiare subito vita per farlo stare bene. Occorre ripulire la testa e le emozioni per non distruggerci più con i sensi di colpa e i doveri, così il cuore si apre e questo crea un ponte per contattare l’anima.
proprie ossessioni o il proprio disagio, per scrivere in modo indelebile e visibile il proprio dolore.
Occorre ripartire dal corpo: dai suoi bisogni, dai suoi messaggi, dai suoi ritmi e cambiare subito vita per farlo stare bene. Occorre ripulire la testa e le emozioni per non distruggerci più con i sensi di colpa e i doveri, così il cuore si apre e questo crea un ponte per contattare l’anima.
Davvero bel post :) brava Marina, mi hai fatto riflettere su un bel po' di cose..
RispondiEliminaQuest'articolo mi fa risalire alla mente un incontro a scuola con l'obbiettivo sull'informazione su bulimia e anoressia.
Mi colpì l'esempio delle Hawaii. Quando vennero conquistate, il popolo dalle forme prosperose cambiò per colpa della televisione! il 70% delle donne dimagrì prendendo come riferimento le donne magre e slanciate che si vedevano in quella scatola ancora black & whyte.
Per tornare a noi sublime l'ultima frase :)