LA CONTESSA DE SUASSON - 2^ PARTE

I giorni, le settimane, passarono veloci come il vento. Isabelle attendeva con trepidazione le visite di Lucien che si facevano sempre più fitte e rischiose. Era come una voragine senza fondo. Ogni giorno Isabelle voleva sempre di più, la sua forza si dimostrava nel suo imperio, anche in amore era lei a dettare legge. Lucien era come una mosca nella tela del ragno, continuava a dibattersi in quell’amore sfibrante e passionale e più cercava di riordinare le idee più cadeva vittima di quella donna volitiva ed assetata di vita. Era una vittima ma anche un complice e si beava di quella relazione folle che ben presto lo avrebbe portato alla rovina. La contessa, che di solito si preoccupava di nascondere le sue relazioni, era stata presa da un’improvvisa noncuranza nei confronti del marito, lasciando il più delle volte tracce evidenti delle visite di Lucien. Il suo comportamento nei confronti del conte era di acuta ed ostentata insofferenza. C’erano giorni in cui sgarbi e litigi erano così frequenti da non conoscere quasi interruzione ed al povero conte non restava altro che piegare la testa remissivo ed obbediente, sempre troppo innamorato per potersi accorgere della folle relazione che si stava consumando tra le mura del suo castello e nella sua stessa alcova. 

Lucien era stordito, incapace di ribellarsi, soggiaceva ad ogni suo volere come un grazioso barboncino ammaestrato. Isabelle viveva tutto questo con profonda esaltazione e soddisfazione, perdeva intere giornate a contemplare la bellezza del suo corpo, a curare il suo abbigliamento in ogni minimo dettaglio solo per incontrarsi con lui. Il suo amore era come una febbre che la divorava, non era mai sazia della sua presenza, della sua bellezza dei sui gesti galanti, dei suoi stupendi occhi verdi, della sua voce calda e sensuale. Con l’arrivo dell’inverno Lucien era l’unico passatempo a disposizione di Isabelle, ed era un delizioso passatempo, una preziosa bambola con la quale giocare un gioco proibito ed eccitante, una bambola che ad al primo avviso di stanchezza avrebbe potuto gettare via nell’angolo dei suoi ricordi. Ma la loro relazione invece di perdere di vigore andava rafforzandosi. Oramai tutta la servitù era a conoscenza del passatempo della padrona ed in tutto il palazzo non si parlava d’altro, era un continuo malignare e ridacchiare alle spalle del povero conte. Infondo non era certo il primo con il quale la bella contessa lo tradiva, ma se non era il primo, aveva almeno il pregio di essere il più duraturo. Questo era ciò che la servitù pensava e di cui parlava nelle cucine nei momenti di riposo. 
Durante uno degli idilliaci incontri tra Isabelle e Lucien, in una giornata particolarmente brutta, il conte, che di solito restava in biblioteca fino all’ora di cena, decise di andare a dormire perché troppo stanco. Salì fino al piano dove c’erano le camere e fermandosi un attimo per riprendere fiato, le scale lo stancavano molto, si appoggiò ad una statua rimanendone in parte nascosto. Fu in quel momento che vide uscire Lucien dalla camera della contessa. Il giovane scomparve nel buio del corridoio mentre il conte, non credendo ancora ai suoi occhi, si asciugava il sudore dalla fronte. Le gambe ed il cuore gli tremarono, non poteva ammettere che la sua “gattina” lo avesse tradito. Con una notevole forza di volontà e facendo ricorso a tutto il suo coraggio si diresse verso la camera della moglie. Si fermò un attimo, indeciso se bussare o meno, poi con decisione, mista ad un senso di angoscia, spalancò la porta. Isabelle fu sorpresa mentre davanti allo specchio si stava riassettando il trucco ed i capelli, ancora in vestaglia. Attorno a lei il più grande disordine, gli abiti gettati sul divano ed il letto completamente disfatto. Alla vista del conte Isabelle si voltò di scatto, sul suo volto un misto di paura e rabbia per essere stata colta in fallo, accanto a lei, dalle rose nel vaso caddero alcuni petali. Il conte, sulla soglia, era rimasto allibito ed incapace di profferir parola. In un attimo si era visto crollare davanti agli occhi quell’immagine di perfetto amore coniugale che aveva sempre creduto fosse stato rispettato. Si sentì svuotato, inutile ed infinitamente stupido. Isabelle si riprese come un gatto che scivola malamente dal tavolo sul quale sonnecchia. Scattò in piedi e fuori di sé iniziò ad inveire contro il conte. Davanti a quel comportamento scandaloso ed offensivo il conte reagì schiaffeggiandola. Scoppiò una lite furibonda, durante la quale Isabelle rovesciò tutto il suo astio ed il suo rancore per quella vita da reclusa sul marito. Il conte si vide accusato di essere stato l’indiretto istigatore di quelle folli relazioni. Venne così a scoprire che Lucien non era stato il primo e non sarebbe stato l’ultimo. Fu un duro colpo per il conte, annientato da quella valanga di rivelazioni sconcertanti, svuotato come un guscio e lapidato dalle pietre del rancore e della perfidia. Davanti alla sua gattina che si era trasformata in belva feroce non trovò altra soluzione che chiudersi nella sua stanza e piangere come un bambino.
Isabelle era furiosa. Era stata costretta a gettare la maschera, a tirare fuori gli artigli a svelare i suoi inconfessabili segreti. Riuscì a calmarsi solamente pensando al suo focoso amante, il quale, ignaro della tragedia che stava incombendo su tutti loro, si dibatteva felice nella sua ragnatela di lussuria e passione. La sua ignoranza, però, durò poco. La sera stessa Isabelle gli fece pervenire un biglietto dove gli raccontava l’accaduto e dove gli diceva di non preoccuparsi perché tra loro nulla sarebbe cambiato. La notizia, all’inizio, sconvolse il giovane che già vedeva la rovina abbattersi su di lui, ma la sicurezza che trapelava dal biglietto lo rassicurò abbastanza. Si trattava solo di avere pazienza, lei si diceva certa di poter rimediare a quel maldestro strappo. L’unico pensiero di Lucien fu che sarebbe stata un’attesa lunga, ma pur di riabbracciare la sua Isabelle avrebbe sopportato qualunque cosa. 

Passò un’intera settimana prima che il giovane ricevesse altre notizie. Una settimana piena di tensione nel palazzo De Suasson. I saloni, prima austeri, sembravano quasi sepolcrali, non un rumore per l’intero castello, la stessa servitù indugiava nel parlare e se lo faceva era solo a voce bassa. Mentre il conte macerava nel dolore e si preparava inconsciamente a perdonare la sua “gattina”, Isabelle aveva architettato un piano per rivedere il suo maestro d’armi e parlargli. Quell’episodio sciagurato era stato per la giovane donna la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. La sua insofferenza nei confronti del marito si era tramutata in odio ed in rancore profondo. 

Fu così che dopo una settimana i due sciagurati amanti poterono riabbracciarsi. Isabelle, però, era cambiata. Il suo unico pensiero era rivolto al conte ed a come liberarsi di lui, e fu durante quell’incontro che parlò all’amante della decisione che aveva preso e cioè uccidere il conte De Suasson. All’inizio Lucien rimase sbalordito da ciò che sentì, quasi non voleva crederci. Scosse la testa deciso e cercò in tutti i modi di far tornare l’amata alla ragione, ma negli occhi di Isabelle c’era una strana luce, una luce che fece azzittire il giovane e lo fece tremare. Tutta la forza e l’imperio di Isabelle si erano concentrati in quello sguardo ed in quella luce, il suo volto aveva assunto un’espressione dura e crudele che l’aveva come trasfigurata. Ma non durò molto, in realtà fu solo un attimo, e passò veloce come le nubi nel cielo di marzo. Il volto languido e sensuale di Isabelle tornò, pronto a confondere e stregare il povero Lucien , che stordito dal suo profumo, dalla seta dei suoi capelli e dal velluto della sua pelle si ritrovò, senza rendersene conto, ad essere complice di un piano quanto mai ardito e folle. Il piano di Isabelle era semplice, Lucien avrebbe dovuto procurarle il veleno da mettere nel cibo del conte, al resto avrebbe pensato lei. Fu così che Lucien si ritrovò in viaggio per la più vicina città e senza quasi accorgersene risalì in carrozza tenendo tra le mani un pacchetto contenente una boccetta di un potente ed esotico veleno. Furono giorni di tensione per i due amanti diabolici. I loro incontri erano quasi violenti, ossessionanti e la foga di Isabelle sembrava triplicata. Lucien era come una marionetta in balia di un uragano, spinto da forze più grosse di lui, alle quali era incapace di opporsi. 
Fra angosce e tensioni arrivò la sera del fatidico giorno. Isabelle si fece più bella che mai ed ostentando una sottomissione che era ben lungi dall’avere, portò essa stessa la cena al conte. Fu gentile, deliziosa, premurosa, quasi timida e soprattutto pentita. Il conte, che in cuor suo l’aveva già perdonata, fu colpito da tutta quella premura tanto che gli vennero le lacrime agli occhi. La felicità di aver ritrovato la sua dolce gattina gli fece tornare il cuore a battere, ma non durò molto. Isabelle ed il suo amorevole volto furono l’ultima cosa che vide. Subito dopo cena violenti crampi lo presero allo stomaco seguiti da improvvise caldane, un fuoco che lo bruciava dentro lo fece urlare dal dolore. Cadde quasi subito in stato d’incoscienza mentre la sua mente annaspava nel disperato tentativo di non credere a ciò che stava accadendo. Isabelle iniziò ad urlare chiedendo aiuto, si strappava i capelli piangendo disperata mentre ai suoi piedi il conte stava esalando i suoi ultimi respiri. Il medico fu convocato con urgenza, ma quando arrivò il povero conte era già morto. Al capezzale del marito Isabelle dette il meglio di sé. Era spossata, affranta, distrutta, la vera immagine della moglie disperata e sconvolta per la perdita del marito tanto amato. Anche la servitù, che conosceva la verità sulla loro relazione, rimase così colpita dalla sua recita, che finì per credere che fosse sincera. Il medico imputò la morte a del cibo avariato e così l’intera dispensa del palazzo fu svuotata. La veglia funebre fu lunga, la fila dei nobili che erano venuti a rendere omaggio sembrava lunga quanto la strada da Lafleur a Parigi. Isabelle resistette stoicamente in uno splendido abito da lutto, sembrava davvero una stupenda Madonna addolorata. I suoi meravigliosi occhi azzurri erano colmi di lacrime, sembravano preziosi gioielli adagiati su un candido velluto. Ovviamente i De Rosignac furono i primi ad accorrere per dare aiuto e conforto alla vedova. Ma tra loro non vi era Lucien. Chiuso nel buio della sua stanza era intento a mordere il lenzuolo preso dalle convulsioni per il rimorso per ciò che aveva fatto. Agli occhi di una persona attenta e maligna la sua assenza sarebbe equivalsa ad un’ammissione di colpa, ma per fortuna nessuno vi badò. Il funerale fu celebrato in forma strettamente privata nella cappella di famiglia, ed a mezzogiorno di un splendida giornata d’inizio primavera il conte Marcel De Suasson dette il definitivo addio alla sua adorata “gattina”. 
Adesso Isabelle si sentiva leggera e libera come una farfalla e sentendo il desiderio di allontanarsi dal teatro di quella sciagura prese la sua puledra e fece una lunga cavalcata nella tenuta. Rientrò solo a tarda sera completamente ritemprata. Quella lunga passeggiata a cavallo le aveva restituito tutte le sue forze e la sua determinazione. Quando la servitù la vide rientrare capì che l’unica vera padrona di Lafleur era stata ed era la contessa Isabelle De Suasson. 
Lasciò passare un mese intero prima di rivedere Lucien, un mese durante il quale aveva sublimato quell’attesa fino a rendere quell’incontro l’unico vero scopo della sua vita. Per il giovane fu un mese d’inferno, dilaniato da una guerra interiore fra pazzia e ragione. Sconvolto da ciò che aveva fatto, incapace di capire se era stato artefice della sua felicità o della sua totale rovina. Un mese durante il quale riuscì, nonostante tutto, a vedere chiaramente cosa era diventato; un folle completamente asservito ai voleri di quella donna, un pazzo che allo schiocco delle sue dita avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche uccidere. 
L’incontro tanto attesa da Isabelle e tanto temuto da Lucien avvenne nella camera della contessa. Isabelle si guardava allo specchio civettando con la sua immagine, e volteggiando per la stanza spaziava con lo sguardo timido e romantico di una fanciulla ai primi palpiti d’amore. Il profumo delle rose appena colte la rapì e si soffermò ad odorarle. Era felice come una bambina nel giorno del suo compleanno. Quando Lucien apparve sulla soglia stava prendendo una rosa per sistemarla nell’acconciatura. Gli corse incontro adagiandosi timidamente tra le sue braccia come una farfalla su di un fiore. Su di lei il recente lutto, e soprattutto ciò che c’era dietro, era scivolato via come l’acqua sui sassi lisci di un ruscello. Ma Lucien non aveva la stessa fibra. I rimorsi e la paura lo stavano uccidendo e non si sentiva più in grado di continuare quella relazione pervasa dalla follia. Si sentiva sporco, vigliacco, colpevole ma soprattutto la sua anima non reggeva al peso devastante di sapersi un assassino. Nemmeno il corpo caldo ed invitante di Isabelle riuscì a farlo stare meglio, anzi, vederla fu come una pugnalata al cuore. Facendo violenza alla sua natura pavida riuscì a dirle cosa provasse e come si sentisse, riuscì a trovare il coraggio di accusarla di non avere cuore, di essere crudele e spietata di essere cinica, le disse che era solo una bella bambola innamorata solo di sé stessa e priva del minimo senso della decenza. Isabelle ascoltò quel lungo e concitato monologo sentendo la rabbia crescerle dentro come un fiume in piena. Alla fine il giovane riuscì a guardarla con occhi nuovi finalmente libero dalla sua subdola e tenace rete di seduzione. Fu un momento di grande soddisfazione per Lucien, dopo tutto quel tempo riuscì a sentirsi libero come se un pesante macigno fosse stato tolto dalla sua coscienza. Fu solo un attimo, che non potette godersi a lungo. Isabelle scoppiò come una furia. Ne aveva l’aspetto e la forza ed incuteva la stessa paura. Lucien non l’aveva mai vista così. Indietreggiò pensando che avrebbe tanto voluto avere con se una delle sue sciabole. Lei gli rovesciò addosso tutta la sua rabbia folle. Dopo ciò che aveva fatto per loro, per il loro futuro, lui la ripagava in quel modo? Accusandola e rifiutandola? Tentò di calmarla, di farla ragionare, ma la contessa non sentiva ragioni. Mai si sarebbe aspettato che quelle mani candide e fragili potessero racchiudere tanta forza. I suoi pugni si abbattevano sul petto del giovane scuotendolo. I begli occhi di Isabelle erano come capocchie di spilli, non piangeva, era semplicemente furibonda. Urlava e lo tempestava di pugni e lui fu costretto ad indietreggiare troppo spaventato per tentare di bloccarle le mani. Percorsero un tratto di stanza, lei che incalzava e lui che arretrava, alla fine Lucien inciampò in un porta vaso e perdendo l’equilibrio cadde malamente sbattendo con violenza la tempia contro lo spigolo acuminato di un tavolino. Isabelle gli andò dietro e rovinò sul corpo del giovane. Urlava e continuava a tempestarlo di pugni. Solo quando un rivolo di sangue macchiò il candido colletto della camicia di Lucien, Isabelle si fermò. Per un attimo rimase pietrificata incapace di realizzare cosa fosse successo, poi lo afferrò per le spalle e chiamandolo per nome lo scosse con forza. Per quanto urlasse e lo scuotesse lui non rispose. Il suo corpo inerte ed abbandonato ingombrava la stanza come una grande marionetta a cui fossero stati tagliati i fili. Isabelle disperata iniziò a singhiozzare china su di lui ed a carezzargli i capelli ed il volto. La voragine sulla quale Isabelle aveva sempre dominato aveva finito per inghiottire anche lei. Tutta la sua bellezza, la sua arguzia, la sua fortuna erano sfiorite come una rosa troppo vecchia per fare ancora mostra di sé. E la fama? Il sale della vita di Isabelle. Quella no, quella non era sfiorita, anzi, se prima la bella contessa era l’argomento principale solo dei salotti modaioli di Parigi, adesso tutta Parigi parlava di lei e della tenuta di Lafleur. La contessa Isabelle De Suasson e la sua vita dissoluta erano sulla bocca di tutti, non si parlava d’altro. Si parlava della sua ammaliante bellezza, del simbolo che aveva sempre rappresentato, della sua indiscussa autorità con la quale aveva tenuto in pugno il povero consorte e tutti i suoi amanti e dell’impronta indelebile che aveva lasciato nei salotti parigini. Ma soprattutto si parlava della sua follia. 
Lafleur non era più la bella tenuta di un tempo. Adesso il suo castello era tetro, silenzioso, sepolcrale. Le ampie stanze rimbombavano dell’eco di ricordi lontani, di feste dimenticate di risate ormai spente. L’oblio aleggiava come una nebbia perniciosa ed il tanfo della follia ammorbava quelle pietre in modo indelebile. Una servitù discreta e sfuggente accudiva l’ombra della contessa Isabelle De Suasson, divorata dalla follia, dalla rabbia e dal rancore, ma mai dal rimorso. 



FINE



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